Cosmologia – 4 – L’esistenza dell’umanità è il fine dell’Universo? Il principio antropico

di Mario Giardini

principio antropico 2Nessuno potrà mai riprodurre in laboratorio la nascita del nostro universo, e vivere abbastanza a lungo (almeno 14 miliardi di anni), per studiarne sperimentalmente l’evoluzione e raccontarci come andarono le cose. Quindi i cosmologi sono destinati a chiudere bottega subito e a cercarsi un altro mestiere? Non proprio. Intanto, possiamo chiederci: com’è fatto l’universo che vediamo, cioè quali sono le leggi che lo governano? Come è arrivato a questo stato, ammettendo per ipotesi che le leggi che lo governano siano sempre quelle, sin dall’inizio del tempo?

E, sopratutto, c’è stato, un inizio?

Supponiamo di sì, che ci sia stato, e immaginiamo di andare a ritroso nel tempo. Se oggi l’universo ha le dimensioni che, ed è in espansione, andare a ritroso nel significa vedere che l’universo rimpicciolisce. Dovremmo in qualche momento arrivare al punto più prossimo all’inizio. Vicinissimi, ma non proprio al punto zero. Poi spiegheremo perché. Intanto, accontentiamoci di fare una domanda: com’è l’universo in questo istante infinitamente prossimo all’inizio? Dobbiamo supporre che le leggi fisiche, chimiche e biologiche, che valgono oggi, valessero anche allora.

Questo significa che alcune costanti universali (G gravitazione universale, c velocità della luce, h costante di Planck, massa dell’elettrone, ecc.) dovevano far parte delle condizioni iniziali.

Quando dunque sentiamo parlare di modelli cosmologici, si intende questo: una descrizione matematica dell’universo che ne descrive la storia nel tempo. Perché si possa considerarla valida, però, deve ovviamente essere una formulazione tale da portare a un universo che coincida con quello che osserviamo oggi. Per esempio, deve portare ad un universo dove la distribuzione di materia, e dei vari tipi di atomi, sia in accordo con quella che noi misuriamo. In particolare, deve esserci abbastanza carbonio affinché la vita biologica, per come la conosciamo, si sia sviluppata. Altrimenti, noi non esisteremmo. E quindi il modello non andrebbe bene.

Deve esistere una forza gravitazionale sufficiente a formare i conglomerati di gas che poi evolvono nelle stelle, e una forza nucleare che permetta le reazioni che avvengono in esse, e quindi nel nostro sole, affinché si formino gli atomi pesanti e si separino da quelli più leggeri, e, in un certo momento (circa 4,5 miliardi di anni fa) un piccolo e sperduto pianeta ai margini della Via Lattea, una galassia niente affatto importante fra miliardi e miliardi di galassie, si formi. Da questo momento, comincia a ricevere energia, a trasformarla, e sviluppa dopo miliardi di anni, un’atmosfera, e poi lentamente, una biosfera, cioè tutte le forme di vita che ci sono oggi sul pianeta Terra.

E’ stupefacente constatare, studiando i modelli, come una piccolissima variazione in una qualsiasi di queste costanti (in tutto qualche decina) possa portare ad un universo che è totalmente diverso da quello che osserviamo oggi. Per esempio, un universo privo di galassie, cioè di materia.

Sembrano, queste costanti… progettate apposta per permettere quello sviluppo biologico che, nel corso di centinaia di milioni di anni, porta all’uomo.

E’ così che nasce il cosiddetto principio antropico. Nella sua forma debole, lo si esprime con una quasi-tautologia: le condizioni (cioè le costanti) devono essere compatibili con la nostra esistenza.  E’ una tautologia, perché si limita ad asserire quello che misuriamo: l’universo è così perché ci siamo noi ad osservarlo, e noi non ci saremmo se i valori di quelle costanti fossero differenti.

Nella sua forma debole il principio antropico apre la porta alla possibile esistenza di altri universi, oltre al nostro. Non occorre pensare a fisiche che rispondano ad altre leggi: basta pensare a variare una o più costanti affinché, per esempio, si arrivi ad universi privi di carbonio. Dunque privi della vita biologica, e di esseri umani. Esistono, questi altri universi? Vedremo.

C’è una forma forte del principio antropico, che afferma: le condizioni iniziali furono quelle che furono affinché noi, esseri umani, possiamo esistere.

In altri termini, l’universo è nato affinché l’uomo potesse abitarlo, osservarlo e descriverlo: l’uomo come finalità dell’universo. La scienza diventa teleologia: cioè attribuisce una finalità all’esistenza dell’universo. E’ il concetto di fine tuned universe, che finisce per essere un ulteriore argomento a favore del creazionismo. Non siamo stati creati a immagine e somiglianza di un Dio, ma un Dio ha progettato l’universo,e ,mediante un fine tuning, ha deciso che ci fossero quelle condizioni, e solo quelle,  che ci portarono in vita.

Intendendo la scienza come asserzioni che possono essere falsificate in senso popperiano, il principio antropico non è un concetto scientifico. Ma risponde ad una necessità filosofica. Se questo rende migliori gli uomini, sia benvenuta, per quanto mi riguarda, anche questa interpretazione di quella che sembra essere una specialissima predisposizione, assai prossima alla unicità, del pianeta Terra: quella di essere l’unico posto dell’universo in grado di generare l’Umanità.

In sintesi: l’uomo è il fine ultimo dell’universo.

Cosmologia 4 – segue

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