Ustica, una maledetta storia italiana – 3 – Negligenza, omissioni e depistaggi

di Mario Giardini

In Italia può capitare di avere dipendenti assolti  da un’accusa penale “per non aver commesso il fatto” o perché “il fatto non flottacostituisce reato”. Ma l’organizzazione cui appartengono tali dipendenti può essere condannata in sede civile a risarcire i danni derivanti dal medesimo “fatto”.

Ho appreso come sia stata codificata una tale logica per me incomprensibile leggendo la sentenza (160 pagine) del Tribunale Civile di Palermo che condanna i Ministeri della Difesa e dei Trasporti a risarcire parenti ed eredi del disastro aviatorio di Ustica per “omessa garanzia della sicurezza del volo”. La sentenza riporta anche i criteri adottati (e sono questi che commenteremo in dettaglio) per dimostrare quale sia la causa più probabile del disastro (missile o “quasi collisione”) ed il “nesso causale fra tale condotta (dei Ministeri ndr) ed il disastro.

Il 10 settembre 2014 è stata depositata in cancelleria la Sentenza del Giudice Civile di condanna del Ministero dei Trasporti e di quello della Difesa per “omessa garanzia della sicurezza del volo” dell’Itavia precipitato ad Ustica.

Sentenza emessa a seguito della chiamata in giudizio (2007) degli stessi Ministeri fatta dai familiari ed eredi delle vittime del disastro. I quali familiari ed eredi delle vittime chiedevano anche il risarcimento dei danni cagionati “dal sistematico depistaggio ed intralcio al più proficuo svolgimento delle indagini” di “soggetti organicamente riconducibili” ai suddetti Ministeri.

A ciò si aggiungeva la richiesta di risarcimento per il “danno patrimoniale e non patrimoniale derivante dalla lesione del loro diritto all’accertamento della verita”.

L’argomentazione principale addotta a sostenimento della richiesta di risarcimento è riportata dalla sentenza (pag 5). Vale la pena, credo, citarla per intero:
Sulla base della considerazione che la sera del 27 giugno del 1980, lungo la rotta del DC9 dell’ltavia e nelle ore di effettivo transito di questo velivolo, “era in corso un’operazione aerea militare, coinvolgente numerosi velivoli in asserto da guerra” (fondata sul contesto radaristico accertato nella sentenza ordinanza del Giudice Istruttore e poi confermato dalla sentenza della Corte di Assise di Roma di primo grado) vengono quindi allegate precise condotte, imputabili alle amministrazioni convenute, che avrebbero concorso al prodursi del disastro nonché dei numerosi danni ad esso conseguenti. Più esattamente, “negligenze ed omissioni di doveri di legge legati alla garanzia di sicurezza del traffico lungo aerovie civili all’interno dello spazio aereo nazionale tra cui spiccano lo mancata segnalazione, da parte delle autorità militari a quelle responsabili del trasporto aereo civile, della presenza di altri velivoli lungo la rotta seguita dal DC9 della compagnia Itavia; cosi come la mancata tempestiva comunicazione, da parte delle autorità preposte al controllo del traffico aereo, al pilota del DC9, della necessità di modificare la rotta programmata, anche solo mediante una riduzione della quota di crociera fino a soglia di sicurezza, proprio in considerazione della situazione di pericolo legata alla presenza anche di altri velivoli lungo lo rotta prestabilita. A ciò si aggiunga quanto consegue dell’esistenza di quel pericolosissimo “Punto Condor” oggetto di continue intersecazioni di voli militari in assetto operativo e la conseguente, sbalorditiva, assenza di provvedimenti assunti dalle amministrazioni convenute per porre rimedio a quell’ineluttabile situazione di precaria sicurezza”.

Come è noto, il Giudice Civile, accogliendo la richiesta, ha condannato i due Ministeri ad un risarcimento per un totale di circa 100 milioni di euro. Vedremo come il Giudice ha motivato la condanna.

Possiamo però anticipare qualche commento e chiarimento per le frasi riportate in neretto. Tecnicamente parlando, il punto ove il DC9 dell’Itavia esplose non fa parte dello spazio aereo nazionale, trovandosi sulla verticale di acque internazionali. E’ vero che fa parte di una FIR (Flight Information Region) che, secondo le norme ICAO (convenzione di Montreal del 1944, art 3) è affidata al Controllo del Traffico Aereo Italiano.

E’ vero che secondo tale convenzione, nell’attraversare una FIR, i traffici aerei civili sono obbligati ad entrare in contatto il CTA corrispondente, segnalare la posizione e le intenzioni e, in poche parole, farsi “seguire” dal CTA. Il transponder acceso è obbligatorio. Tutti capiscono la ragione: evitare collisioni e garantire la sicurezza.

Il traffico militare non è soggetto alle medesime regole. Può piacere, oppure no: ma in acque internazionali una portaerei o una portaelicotteri lancia i suoi velivoli come e quando vuole, e fa esattamente quel che gli pare. Se fa una esercitazione a fuoco, è norma internazionale (quasi sempre seguita) delimitare l’area e informare gli eventuali interessati (traffici marittimi e/o aerei).

Ma supporre, o pretendere, che in condizioni di normale operatività in acque internazionali, una flotta da guerra, ivi compresa quella italiana, indichi al paese più prossimo, la posizione ed i movimenti dei propri velivoli e si sottoponga a restrizioni che comportino sia l’individuazione della propria posizione, che la natura ed il tipo delle missioni che intraprende, è del tutto irrealistico.

Pretendere poi che le autorità italiane potessero imporre “rimedi”, nel contesto dello scacchiere mondiale del 1980, con VI Flotta e Flotta Russa del Mediterraneo a fronteggiarsi, ciascuna con il proprio codazzo di satelliti e paesi clienti e il terrorismo internazionale e nazionale all’apogeo, in modo da eliminare “quell’ineluttabile situazione di precaria sicurezza”, e che il non averlo fatto configuri una responsabilità da sancire con un risarcimento per non avere garantito la sicurezza del traffico aereo civile, solleva una semplice questione: di quali mezzi bisogna disporre per poter garantire, in ogni circostanza, tale sicurezza?

Perché, come sostiene il Ministero, a mio avviso ragionevolmente il lancio di missili e l’abbattimento di un aereo civile costituiscono evenienze del tutto straordinarie e imprevedibili, di certo non correlabili ad eventuali carenze nel controllo del traffico aereo”.

Inoltre, appare piuttosto difficile stabilire un nesso causale fra le eventuali omissioni nel controllo del traffico aereo e l’evento abbattimento causa missile, considerato come “mancata garanzia di sicurezza”.

Sostenne il Ministero che una garanzia assoluta è impossibile “in ragione dell’imprevedibilità, della repentinità e dell’inevitabilità degli ipotizzati accadimenti, (salvo che non si voglia per assurdo immaginare un obbligo per il Ministero della Difesa di tenere costantemente in volo in tutti i cieli italiani quantità imprecisate ed inverosimili di pattuglie aeree pronte ad intervenire in qualsiasi caso di emergenza. Ma neppure in tal caso si potrebbero impedire con certezza eventi come il disastro di Ustica.”

Questi mezzi erano disponibili, ma per colpa o negligenza o altro non furono impiegati a dovere? Oppure no, non c’erano?

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