Pseudoscienze – 2 – Omeopatia fa rima con stregoneria

di Pier Vittorio Gard

rimedi-naturali-dimagrire-erbe1Nel 2010 la conferenza dei giovani medici della British Medical Association (BMA), in una mozione di pesante critica della omeopatia ha scritto, tra l’altro: “non chiamatela omeopatia, ma “stregoneria

A loro mi sono ispirato nella scelta del titolo di questo articolo, dove cercherò di spiegare le ragioni di una definizione così drastica e inappellabile.

L’omeopatia è nata per opera di un medico tedesco, Samuel Hanhemann (1755-1843). Hanhemann, interessato all’uso del chinino contro la malaria, decise di sperimentare la china su sé stesso, assumendola in dosi crescenti e osservandone gli effetti. Osservò che la sostanza generava, in lui e in altri soggetti sani, gli stessi sintomi della malaria di cui era la cura. A partire da questa osservazione Hanhemann arrivò a concepire il principio base del suo pensiero, esposto nel suo libro l’Organon (1810), e cioè la cosiddetta “Legge di similarità”.

Vediamo come si esprime lo stesso Hannhemann (i punti esclamativi e interrogativi sono miei): “…l’esperienza(?) ci insegna, inoltre, che tutti i rimedi guariscono, senza eccezione(?) , le malattie i cui sintomi siano il più possibile simili a loro, e nessuna di queste malattie resiste loro(!). Questo si basa sulla legge naturale omeopatica…. in tutti i tempi la base di ogni vera guarigione(!): nell’organismo vivente un’affezione dinamica debole è soffocata in modo definitivo da una più forte (?) se questa (differendo per qualità) le sia simile nella sua manifestazione”.

Ma perché questo succede? Sentiamo ancora Hannhemann: “Siccome ogni malattia consiste nella perturbazione… del nostro principio vitale (?)… nella cura omeopatica questo viene regolato mediante un’affezione più forte… determinata da una medicina… scelta esattamente per la somiglianza dei sintomi (!). In questo modo si spegne e scompare il senso dell’affezione patologica naturale (più debole) dinamica, che da questo momento non esiste più per il principio vitale. E il principio vitale viene interessato e ora dominato da questa affezione patologica artificiale, più forte, che, estinta presto la sua azione, lascia libero e guarito il malato (?!)”

Riassumiamo: quasi tutte le malattie note consistono in un disturbo della capacità del corpo di mantenere integro il proprio principio vitale.

Il principio vitale viene riattivato somministrando un rimedio che, producendo nell’individuo sano gli stessi sintomi avvertiti dall’individuo malato, riuscirebbe a produrre la guarigione (da qui il nome “omeopatia”, dal greco òmoios, simile e pàtheia, malattia, dolore).

E dire che qualcuno pensa ancora che lo scorbuto non si combatte creando sintomi simili, ma somministrando vitamina C, il diabete non si cura somministrando zucchero, ma insulina, per non parlare del colera, del tifo, della tubercolosi …

E abbiamo appena cominciato! Consiglio alle persone impressionabili di non proseguire nella lettura, oppure di assumere prima un forte cordiale (io, di origini valdostane, attingerò a una grolla), gli amanti del horror, invece, avranno pane per i loro denti.

Proseguiamo. Hanhemann si rese presto conto che l’uso di dosi elevate di rimedi produceva effetti secondari, spesso controproducenti. Elaborò quindi una teoria secondo cui l’azione risanatrice debba aumentare con la diluizione della dose di farmaco. In altre parole, diluendo i rimedi, per ogni diluizione si registrerebbe non già una riduzione dell’effetto, bensì un potenziamento! Per questo, gli omeopati definiscono “potenza” il grado di diluizione del rimedio. Vediamo i dettami stabiliti dallo stesso Hanhemann, per ottenere le soluzioni. Partiamo da una soluzione al 1%, cioè da una soluzione composta da una parte di tintura del farmaco e 99 parti di acqua.

Agitiamo vigorosamente per 100 volte in senso verticale, facendo battere la base del contenitore su un piano non durissimo, come quello di un libro rilegato. La soluzione così ottenuta viene nuovamente diluita in ragione di una parte di soluzione su 99 di acqua, e così via.

Secondo Hanhemann, l’agitazione vigorosa delle provette conferisce (sic!) forza vitale alla soluzione!

Il medicamento viene infatti considerato come munito di una sua forza vitale propria che si esalta con i successivi scuotimenti! Si ripete dunque più volte questo passaggio partendo da soluzioni al 10% o all’1% e si ottengono così quelle che vengono chiamate “potenze”. Per esempio, ripetendo 12 volte il passaggio, si ottengono potenze 12C (centesimali, se si parte da una soluzione all’1%) o 12D (decimali, se si parte da una soluzione al 10%).

Per renderci conto del grado di soluzione, prendiamo come esempio una potenza 12D, oggi comunemente utilizzata: la diluizione risulta di 1 parte di tintura su mille miliardi di parti di acqua. Sarebbe come versare 2 milionesimi di litro di tintura in una piscina olimpionica! Applicando il principio di Avogadro a soluzioni 24D o 12C si ottiene che esiste il 50% di probabilità di trovare una sola molecola in 100 milioni di litri di soluzione!

Ma Hanheman non conosceva il principio di Avogadro, pubblicato nel 1860, oggi, invece, lo conosciamo bene e la cosa dovrebbe essere ampiamente sufficiente a falsificare l’omeopatia!

Ecco allora che, come nella storiella del drago di Sagan, i suoi sostenitori si sono inventate le ipotesi più fantasiose e, ovviamente, infalsificabili, come si conviene alla migliore pseudoscienza.

Ricordo (vedi Pseudoscienze-1) che un’affermazione è infalsificabile quando non è possibile immaginare anche solo un esperimento o formulare un’osservazione che possano dimostrarne la erroneità. Una osservazione infalsificabile è dunque chiaramente dogmatica e quindi può essere creduta solamente sulla parola.

La più usata e celebre delle ipotesi inventate è la cosiddetta “memoria dell’acqua”, secondo cui le dinamizzazioni successive sarebbero in grado di imprimere nella struttura dell’acqua una sorta di impronta della sostanza disciolta, per cui il principio attivo continuerebbe a esercitare i propri effetti anche se assente!

Questa ipotesi è respinta come assurda e ridicola da tutta la comunità scientifica internazionale. Qualcuno dovrebbe poi spiegare perché l’acqua non si ricordi delle altre storie vissute in miliardi di anni, come quando era sangue di dinosauri, linfa di alberi, cultura di batteri e virus, torrente che attraversava terreni ricchi di minerali, passaggi nelle tubature…

E poi: quanto durerebbe questa cosiddetta ”memoria” e come verrebbe decodificata dal nostro organismo?

Ovviamente gli omeopati non demordono e si dichiarano convinti che un giorno la… scienza scoprirà che l’acqua possiede una memoria.

Fedeli a questa convinzione, lo streg.., pardon, l’omeopata individua la terapia di una affezione dall’insieme dei sintomi che lo guidano a scegliere il simillimun (il più simile), cioè il “rimedio” che più corrisponderebbe a quei sintomi.

Ma i rimedi sono tutti sostanzialmente uguali, perché si tratta di acqua pura (o di zucchero su cui è stata versata quella specie di acqua benedetta), perché la memoria dell’acqua non esiste!!!

Un uomo che ha dedicato tutta la sua vita a smascherare false credenze e ciarlatanerie, James Randi,  ha ingoiato un intero flacone di pillole omeopatiche che dovrebbero indurre il sonno, prima di esibirsi in una impegnativa conferenza!

Dunque, “principio vitale” nel malato, “principio vitale” nella tintura madre che si potenzia con successive diluizioni e scuotimenti, acqua che possiede una memoria!

Sulla cima del Cervino esiste un diavoletto invisibile, il diavoletto si mette a danzare il Totentanz di Lizst quando infuria la tormenta e lascia sicuramente delle tracce invisibili sulla neve che… un giorno la scienza riuscirà sicuramente a fotografare.

Quali delle due storielle è meno fantasiosa e falsificabile?

Continuiamo ponendoci la domanda più naturale ma che, dopo quanto detto dovrebbe apparire assolutamente inutile: l’omeopatia funziona come dicono i suoi sostenitori?

Ebbene, sulla omeopatia sono stati effettuati innumerevoli studi epidemiologi in diversi paesi, con criteri rigorosi (studi con gruppo di controllo, randomizzati e in cieco). Come potrebbe anticipare subito il semplice buon senso, il risultato è sempre stato il medesimo: l’omeopatia da gli stessi risultati di un placebo.

Vediamo solo alcuni esempi.

La prestigiosa rivista scientifica the Lancet nel 2005 ha pubblicato un articolo dal titolo eloquente: “The end of homeopathy” In questo articolo vengono presi in esame 110 studi epidemiologici nei quali vengono confrontati omeopatia e placebo. La conclusione è molto semplice ed evidente: l’omeopatia da gli stessi risultati di un placebo.

Nel 2010 il parlamento del Regno Unito ha incaricato il “Science Technology Committee”, di esaminare la politica riguardo “…i rimedi omeopatici funzionano non meglio di un placebo… sono stati effettuati numerosi studi clinici sull’omeopatia che hanno pienamente dimostrato la sua inefficacia specifica… Il Governo non dovrebbe più consentire il finanziamento e la prescrizione di routine di placebo da parte del servizio sanitario nazionale.

Un’altra condanna senza appello è pervenuta nel 2015 dal National Health and Medical Research Council (NHMRC), l’ente australiano che ha il compito di promuovere la salute pubblica e la ricerca medica sulla base di una valutazione delle ricerche cliniche effettuate.

Questo ente ha analizzato 1800 studi internazionali sull’omeopatia, selezionandone 225 riguardanti 70 affezioni. La conclusione: “nessun studio di buona qualità… ha dimostrato che l’omeopatia determini miglioramenti di salute superiori rispetto a un placebo…”

In US il National Center for Complementary and Integrative Health così si esprime: “esiste scarsa evidenza a supporto dell’omeopatia come efficace trattamento per ogni specifica condizione”. E cita lo studio dell’ente australiano NHMRC di cui sopra.

Le conclusioni di questi e altri studi vengono descritte nell’articolo del CICAP dal titolo: “Omeopatia funziona? I risultati delle meta-analisi”.

Il discorso sembrerebbe dunque chiuso, l’omeopatia non funziona: punto.

Allora, una boccata alla grolla (per calmarmi) e vediamo cosa dicono invece i suoi sostenitori.

Ebbene, i sostenitori dell’omeopatia ignorano completamente i risultati degli studi epidemiologici (quelli seri) e adducono invece come prova scientifica la sua presunta popolarità. In Italia, per esempio, secondo Omeoimprese, il fatturato dei farmaci omeopatici si aggira intorno ai 300 milioni di Euro/anno.

Si veda “Elogio della omeopatia” di G. Gorga, (presidente di Omeoimprese), pag.19: “.. il fatto che l’omeopatia sia oggi così largamente utilizzata … non è un elemento che da solo ne possa giustificare la validità e la bontà scientifica. D’altro lato, però, una ragione del successo di questa disciplina, non solo in Italia, ma nel mondo deve pur esserci…”

Ho letto e riletto il suo libro, ma una ragione scientifica (falsificabile) del successo non l’ho proprio trovata.

Allora provo ad avanzare io un’ipotesi: non è che la ragione del successo sia la medesima per cui ancora oggi moltissimi italiani si rivolgono a maghi e guaritori, all’astrologia, alla lettura della mano, ai “sensitivi” che predicono il futuro e simili sciocchezze?

Chissà perché, mi viene in mente quanto dice il teologo Meric  Casaubon, grande esperto di streghe da bruciare sul rogo, nel libro “Of Credulity and Incredulity” (1668):  “Le streghe debbono pur esistere, dato che tutti ci credono. Ogni cosa nella quale in molti credono deve essere vera”.

Siamo giunti, come ognuno può apprezzare, al culmine del “rigore” scientifico.

segue…

Condivi con i tuoi amici
  
  
    

Permalink link a questo articolo: http://www.mariogiardini.com/archives/5737241

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.