Le menzogne della politica sull’energia e la de-carbonizzazione

decarbo 1È uno strano paradosso: mai nella storia dell’uomo è stato più facile diffondere la conoscenza, e mai, probabilmente, nonostante le fortune spese per acculturare l’umanità, si è stato così ignoranti.

Non parlo dei cultori no vax o pro scie chimiche. Ma di persone, che spesso sono professionalmente inserite ad alto livello nei propri campi di specializzazione, pronte a farsi convincere e votare ed eleggere a propri rappresentanti politici, soggetti che fanno affermazioni totalmente assurde su alcuni temi di primaria importanza. Prendete il M5S a Roma ed il folle programma presentato per risolvere l’annoso problema dei rifiuti, con quella perla del compostaggio domestico.

Oppure la totale de-carbonizzazione posta come obbiettivo dal PD per il 2050. Un obbiettivo che è un’autentica sciocchezza, soprattutto per i costi proibitivi e per la dubbia realizzabilità dal punto di vista tecnico. Attualmente, oltre l’85% dell’energia consumata dal pianeta viene dagli idrocarburi (petrolio, gas naturale e carbone).

Le proiezioni per il futuro (non inficiate da interessi o ideologie ambientalistiche) mostrano che ci sarà quasi un raddoppio del consumo di energia, non una diminuzione.

E si può affermare con certezza che nessuna delle tecnologie esistenti oggi può renderci indipendenti dagli idrocarburi nei prossimi decenni.

Nel dicembre 2015 la NAS (National Accademy of Sciences) americana pubblicò un articolo di 4 studiosi (Jacobson, Delucchi, Cameron e Frew), che fece molto rumore. Vi si sosteneva che tra il 2050 e il 2055 fosse possibile costruire una rete elettrica nazionale alimentata al 100% da energia eolica, idraulica, e solare (WWS, wind water solar), ad un costo “sociale” molto inferiore a quello dei combustibili fossili.

Per dimostrare la tesi, si utilizzava un “nuovo modello di integrazione di rete” che risolveva il problema di evitare le perdite di “carico” (cioè la disconnessione delle utenze) a causa della variabilità ed incertezza delle fonti WWS. Il modello garantiva le utenze (no-load-loss), bassi costi (low cost) e forniva soluzioni differenziate (non-unique solutions) a tutti i settori energetici americani. E cioè: elettricità, trasporto, condizionamento (caldo/freddo) e industria.

Come si otteneva tutto ciò? Accumulando il calore nei terreni e nell’acqua. Il freddo nel ghiaccio. L’elettricità in materiali a cambiamento di fase (cioè capaci di accumulare energia e restituirla), stazioni di pompaggio dell’acqua, energia idraulica, e idrogeno. Quindi non sarebbero più stati necessari il gas, i biocarburanti, l’energia nucleare o i costosissimi, giganteschi e criticabilissimi banchi di batterie stazionarie.

decarbo 3La conclusione dell’articolo era la seguente: “The resulting 2050–2055 US electricity social cost for a full system is much less than for fossil fuels. These results hold for many conditions, suggesting that low-cost, reliable 100% WWS systems should work many places worldwide”. Insomma, un sistema che avrebbe potuto funzionare anche in molti altri posti nel mondo. Realizzabile nei prossimi 35 anni.

Il commento, letto l’articolo, anche di chi non è laureato in ingegneria, dovrebbe essere: “too good to be true”.

Infatti, nel giugno del 2017, la stessa NAS ha pubblicato un altro articolo, firmato da 21 studiosi (Clark et al 20), di revisione, valutazione e critica del precedente articolo di Jacobson et al. La conclusione generale è che nello studio sono presenti “significative manchevolezze nell’analisi”. Il che, evidentemente, ne invalida pesantemente le conclusioni.

Clark et al sottolineano l’uso di “strumenti di modellazione invalidi”, la presenza di “errori di modellazione” (cioè di rappresentazione matematica del sistema allo studio ndr), e assunzioni di partenza “inadeguate e irrealistiche” (“implausible and inadequately supported assumptions”).

L’analisi complessiva proposta da Jacobson et al è inficiata, soprattutto, dalla confusione che si fa tra possibilità fisica e realizzabilità nel mondo reale. Un solo esempio: decarbonizzare all’80% il consumo di energia (lasciando fuori la produzione di cemento e l’aviazione) è già, con le tecnologie oggi note, un obiettivo estremamente sfidante e costosissimo.

Portare al 100% l’obiettivo, affermando che la soluzione include tecnologie non ancora sperimentare su larga scala, che hanno bisogno di sistemi complementari per il loro uso, altamente costosi e ad oggi inesistenti, è poco plausibile.

Ad esempio, per conservare il calore si pensa di utilizzare l’accumulo  sotterraneo (underground thermal energy storage). Ma ad oggi c’è solo un sistema, sperimentale, allo studio. Accumulare il calore è evidentemente la prima parte della soluzione. La seconda è distribuirlo. Ciò significa costruire una rete nazionale di distribuzione che raggiunga ogni singolo punto di utilizzo: industries, uffici, abitazioni residenziali ecc. Una tale rete è certamente fattibile. Ciò che non è noto è il suo costo. E non è disponibile, tuttora, una mappatura dei terreni adatti a funzionare come batterie di calore.

Allo stesso modo, pensare di produrre idrogeno per idrogenizzare l’aviazione significa prevedere, da qui a trent’anni, la disponibilità di aeroplani che funzionino a idrogeno. Che non ci sono ancora. E una rete di distribuzione di idrogeno, che ancora non c’è.

Si capisce, avendo risorse infinite, tutto in teoria è possibile. Ma le risorse, per ovvie ragioni, non sono mai infinite. E quindi bisogna tornare al mondo reale.

La critica di Clark et al si conclude rammentando che, dal punto di vista storico, le transizioni fra sistemi di energia diversi sono lunghe, estremamente difficili, estremamente costose, e possono essere compiute solo se si dispone di un ampio set di opzioni tecnologiche.

Dunque i politici dovrebbero diffidare di tutte quelle “visioni” che promettono una rapida,  affidabile, poco costosa, transizione di interi sistemi di energia ad uno che si affiderà esclusivamente al vento, al sole e all’energia idraulica (“ Policy makers should treat with caution any visions of a rapid, reliable, and low-cost transition to entire energy systems that relies almost exclusively on wind, solar, and hydroelectric power”).

Ricordo a questo proposito ricordare che ad inizio ‘700 la fonte primaria di energia era il legname. Nonostante due rivoluzionarie innovazioni, l’invenzione del motore a vapore e della produzione di ghisa e acciaio mediante l’uso del carbone, solo a fine ‘800 (cioè dopo due secoli) il carbone arrivò a rappresentare il 50% dell’energia consumata sul pianeta.

A partire da fine ‘800, con l’invenzione del motore a scoppio e del motore diesel, l’uso intensivo del petrolio come fonte primaria di energia passò dall’illuminazione stradale e domestica (lampade a cherosene) all’utilizzo nei trasporti.  Nonostante il gigantesco impulso rappresentato da due guerre mondiali e dalla necessità di produrre sempre maggiori quantità di energia elettrica, ci vollero settant’anni perché il petrolio arrivasse a rappresentare il 50% dell’energia consumata dal pianeta (metà anni ’50 del secolo scorso).

Oggi, 2018, il carbone rappresenta ancora un buon quarto del totale di energia che si consuma.

Ciò dimostra che le transizioni energetiche sono lunghe, difficili, costose. E che dipendono in maniera sostanziale dalla tecnologia e dalla scienza. O, meglio, da nuove scoperte scientifiche, che generano a loro volta delle disruptions, cioè delle discontinuità tecnologiche con il passato.

Troppo spesso chi si pone obiettivi ambiziosi quale la totale de-carbonizzazione della produzione energetica sorvola su aspetti fondamentali: fin dove è possibile spingere le tecnologie attuali? Sono, queste tecnologie, migliorabili al punto da farci raggiungere l’obiettivo? A quali costi ed entro quanto tempo?

Alcune previsioni fatte nel recente passato possono aiutare a farsi un’idea delle risposte a queste domande. Non più di dieci anni fa negli USA c’era chi, convinto che i biocarburanti avrebbero sostituito i carburanti fossili nell’arco di una generazione, investiva centinaia di milioni di dollari in impianti di produzione dell’etanolo. Oggi, circa il 40% della produzione di mais americana è utilizzata per la sua produzione. Tuttavia, ciò rappresenta solo il 5% (cinque per cento) dei consumi totali. Usare tutto il mais coltivato per fabbricare etanolo evidentemente non risolverà il problema. La previsione era macroscopicamente errata e dunque l’obiettivo irraggiungibile.

Negli anni ’60 si poteva leggere ovunque che, entro fine secolo, l’energia elettrica sarebbe stata prodotta solo ed esclusivamente mediante centrali nucleari. Oggi, 2018, solo il 10% circa di energia elettrica proviene da centrali nucleari.

Altro esempio. Una turbina eolica alta 90 m produce in un’ora una quantità di energia elettrica pari a quella prodotta da un barile di petrolio.

Tuttavia, immagazzinare quella energia sotto forma di petrolio costa 40 dollari, il prezzo del barile, pesa circa 150 kg ed ha un volume di circa 160 litri.

Immagazzinare l’energia elettrica prodotta dalla turbina eolica richiede diverse tonnellate di batterie del tipo di quelle montate sulle Tesla, che costano diverse centinaia di migliaia di dollari.

Anche moltiplicando per 5, o 10 l’efficienza delle batterie, è del tutto ovvio che ciò non risolve il problema di accumulare energia elettrica nelle quantità richieste dalle moderne società tecnologiche.

Altri aspetti ignorati normalmente: i limiti fisici, che pongono limiti invalicabili all’aumento di efficienza. La legge di Betz afferma che non più del 60% dell’energia contenuta nel vento può essere trasformata in energia elettrica. Le attuali turbine eoliche hanno rendimenti intorno al 40%. Dunque il miglioramento residuo di efficienza è modesto. Lo stesso dicasi per il fotovoltaico. La legge di Shockley – Queisser afferma che il limite di conversione di una cella voltaica è il 34%. Le ultime celle fotovoltaiche prodotte si avvicinano al 25% di efficienza. Dunque anche qui, i miglioramenti residui sono modesti.

Sono questi limiti fisici della scienza quale oggi ci è nota che hanno convinto Google a chiudere il suo progetto di produrre energia rinnovabile a un prezzo più basso di quella ottenibile dal carbone.

Si dirà: il recente passato però ci dimostra che un enorme quantità di innovazioni tecnologiche sono state realizzate negli ultimi decenni: le reti cellulari, i computers, internet,  le medicine, le biotecnologie, ecc. Allo stesso modo, guardando indietro si possono trovare esempi di progetti giganteschi coronati da successo, quali il progetto Apollo, che in 10 anni portò un uomo sulla luna. O il Progetto Manhattan, che in 5 anni realizzò la bomba atomica.

Dunque è sperabile che nell’immediato futuro si trovino innovazioni altrettanto valide nel settore dell’energia. Basterebbe metterci dei soldi e degli ingegneri a lavorare, come si fece allora.

Il ragionamento, apparentemente corretto, è : se siamo riusciti a comprimere miliardi di bits in una memoria delle dimensioni di una caramella, sarà pur sempre possibile fare lo stesso per immagazzinare l’energia elettrica, ad esempio; oppure, scopriremo fonti energetiche che siano miliardi di volte più potenti delle attuali.

Purtroppo, il discorso non funziona. Perché? Perché la fisica dei fenomeni è diversa.

Dunque quel che occorre è una nuova fisica. Cioè produrre ricerca di base, che poi si trasformerà, si spera, in artefatti tecnologici.

La bomba atomica fu prodotta nel 1945: ma erano disponibili i risultati di decenni di studi sull’atomo, ed era noto che si poteva scinderlo, e che, nella scissione, si produceva una gran quantità di calore, cioè di energia trasformabile in una bomba.

Tutt’altra cosa è trovare una fonte primaria di energia diversa da quelle note, utilizzabile su larga scala, a costi ragionevoli. Ecco perché Bill Gates afferma che occorre un “miracolo”. E, per inseguire il “miracolo” e renderlo fattibile, insieme a miliardari amici suoi, ha messo in piedi una fondazione, la Breakthrough Energy Coalition, la cui mission è “Reliable, Affordable Energy for the World – Investing in a Carbonless Future”. Gates ci ha investito due miliardi di dollari.

Lui è mosso principalmente dai timori legati al climate change. Tuttavia, non è necessario avere gli stessi timori per rendersi conto che un nuovo modo di fornire energia al pianeta, più pulito di quello attuale, sia nell’interesse di tutto il genere umano.

Ma la strada sarà lunga, e non si sa quanto sarà lunga e costosa.

Gates & Co, sul loro sito, fanno una premessa di carattere generale:

“Per fornire energia in modo affidabile e a costo accettabile, senza aggravare il climate change, si ha bisogno di affrontare il problema delle emissioni in cinque aree fondamentali: elettricità, trasporti, agricoltura, produzione, ed edifici. Abbiamo fatto una mappa del panorama di innovazioni che noi riteniamo aiuteranno l’umanità a superare queste sfide”.

Vediamo il primo settore, quello elettrico. Per ottenere lo scopo, afferma la Coalition, è necessario continuare a mettere in campo “the tools we already have today to reduce emissions in the eletric system”. Ciò, evidentemente, non basta: si ha anche bisogno di trovare “soluzioni innovative” per migliorare le tecnologie esistenti (i guadagni marginali cui ci si riferiva più sopra evidentemente non sono sufficienti).

E, last but not least, bisognerà “sviluppare nuove sorgenti di elettricità a basso contenuto di carbone, e, nello stesso tempo, bisognerà trovare nuovi e migliori metodi per trasmettere, controllare e accumulare questa nuova elettricità”.

Questo è l’elenco dei settori di ricerca sui quali sarà necessario lavorare ed investire (ometto la traduzione perché non necessaria):

  • Next-Generation Nuclear Fission
  • Enhanced Geothermal Systems (EGS)
  • Ultra-Low-Cost Wind Power
  • Ultra-Low-Cost Solar Power
  • Nuclear Fusion
  • Ultra-Low-Cost Electricity Storage
  • Ultra-Low-Cost Thermal Storage
  • Ultra-Low-Cost Transmission
  • Low-Cost Ocean Energy
  • Next-Generation Ultra-Flexible Grid Management
  • Fast-Ramping, Low-GHG Power Plants
  • Low-GHG, Reliable, Distributed Power Solutions
  • CO₂ Capture
  • CO₂ Sequestration and Use

A proposito di nuova generazione di centrali nucleari, la Coalition afferma:


decarbo 2“L’energia nucleare è già una significativa fonte globale per la produzione di elettricità carbon-free. Tuttavia, le sfide associate agli alti costi, ai tempi di costruzione eccessivamente lunghi, alla sicurezza, al trattamento dei rifiuti e ai rischi di proliferazione nucleare hanno rallentato o interrotto la crescita dell’energia nucleare in molti parti del mondo negli ultimi anni. Esiste una grandissima opportunità: espandere l’uso dell’energia nucleare nei prossimi decenni mediante lo sviluppo di una nuova generazione di tecnologie nucleari che sono intrinsecamente sicure (spegnimento automatico in caso di perdita del refrigerante ndr) e resistenti alla proliferazione nucleare, e che permettono di ottenere costi minori, tempi di costruzioni più veloci e ridurre la produzione di rifiuti radioattivi (reattori autofertilizzanti ndr)”.

Altra grande speranza per il futuro è costituita evidentemente dall’energia nucleare ottenuta per fusione. Tuttavia, avverte la Coalition:

“Produrre energia mediante fusione nucleare è stato a lungo considerato come il Santo Graal dell’energia pulita… Tuttavia, le sfide scientifiche e tecnologiche che presenta la fusione nucleare sono così grandi da avere impedito, nonostante sessant’anni di ricerca, di mettere a punto un sistema che produca più energia di quanta ne consuma. Se e quando ciò sarà possibile, rendere l’intero processo cost-effective costituirà a sua volta una enorme sfida. Tuttavia, alcuni nuovi e innovativi approcci al problema sono stati messi a punto negli ultimi anni, facendo sperare nella possibilità di trovare, finalmente, il modo di fornire l’energia a zero emissioni, a buon mercato e affidabile, di cui il mondo ha bisogno.”

Tempi? Impossibili da prevedere.decarbo 4

Che cosa dice la Coalition sul problema di immagazzinare energia elettrica in quantità sufficienti?

“L’aumento di produzione di elettricità da fonti rinnovabili intermittenti, quali eolico e solare, richiederà un sempre maggiore ammontare di energia elettrica immagazzinata per bilanciare le fluttuazioni di produzione a causa della variabilità di tali risorse. Se si vuole fornire una maggiore quantità di energia così prodotta, sarà necessario sviluppare e perfezionare un vasto insieme di nuove tecnologie di immagazzinamento di energia a basso costo, negli anni e nei decenni a venire”.

Come si vede, nulla di veramente rivoluzionario sarà possibile finché la ricerca di base scientifica e tecnologica, non avrà prodotto le nuove conoscenze di cui si ha bisogno.

Ci si può domandare se, nell’attesa, non sia possibile “de-carbonizzare” continuando ad usare anche combustibili fossili, ma catturando e stoccando la CO2. A questo proposito la Coalition afferma:

“Una delle più promettenti soluzioni per ridurre significativamente le emissioni di CO2 è quella di separarla dai gas con cui è mescolata e stoccarla o convertirla in altri prodotti…Tuttavia, lo stato dell’arte offre tecnologie di cattura… che sono troppo costose ed inefficienti … Pertanto, sarà necessario sviluppare nuove tecnologie di cattura della CO2, ad alta efficienza e basso costo…”.

Tempi? Ignoti.

Perciò, volenti o nolenti, bisognerà accettare un futuro (che si estende ai prossimi decenni) caratterizzato ancora da una larga presenza di fonti fossili per rifornire il pianeta dell’energia di cui ha bisogno. L’idea di de-carbonizzare il paese entro il 2050 è, come si vede, completamente priva di fondamenti scientifici.

 

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