Buddismo e Scienza-VI-La vacuità: Il pensiero buddhista e il pensiero della Scienza.

galassia1. La Vacuità(emptiness). Il pensiero Buddhista.

“Come parte della ricerca per comprendere la vera essenza della realtà che noi chiamiamo“vacuità”, il Buddismo cerca di capire la esistenza o non esistenza, delle cosiddette parti indivisibili della materia. Secondo il Buddismo, imparare a capire la vacuità essenziale delle cose come la Scienza moderna ha aiutato a chiarire, rappresenta una parte integrale del cammino spirituale. La conoscenza del nostro spirito e la conoscenza del mondo si illuminano e rafforzano a vicenda. L’obiettivo di entrambi è quello di dissipare la sofferenza” (“the Quantum and Lotus”, pag.14).

““Siccome tutto è vacuo, tutto è possibile” (Nagarjuna, maestro II sec.D.C.)

Il concetto di vacuità è una conseguenza diretta del concetto di interdipendenza e rappresenta il fondamento della visione buddhista delle cose e della natura.

Come abbiamo visto, il concetto di interdipendenza stabilisce che ogni fenomeno è interdipendente con altri fenomeni, in un continuo rapporto di causa ed effetto. Quindi, un fenomeno può essere definito solo in relazione ad altri fenomeni.

Ne deriva il concetto di vacuità, secondo cui nessun fenomeno può essere definito in termini assoluti ed avere una propria esistenza intrinseca ed autonoma.

Occorre subito notare che il concetto buddhista di vacuità non deve essere confuso con il concetto di nulla, perché esso si limita a rispecchiare l’assenza di fenomeni intrinseci e autonomi.

Concetti spiegati molto bene nel libro già citato(“Vita di Siddhartha il Buddha” di Thich Nhat Hanh”):

Vide che è l’esistenza di ciascun fenomeno a rendere possibile l’esistenza di tutti gli altri fenomeni. L’uno contiene il tutto, e il tutto è contenuto nell’uno”. Vedendo la natura interdipendente di tutte le cose, Siddhartha ne vide perciò la natura vuota: tutte le cose sono vuote di un sé separato e isolato.(cioè sono vacue, n.d.r.).

Comprese che la chiave della liberazione sta nei due principi dell’interdipendenza e del non sé.

Illuminando i fiumi delle percezioni, Siddhartha comprese che l’impermanenza e l’assenza di un sé sono le condizioni indispensabili alla vita. Senza impermanenza, senza mancanza di un sé, nulla potrebbe crescere ed evolversi. Se un chicco di riso non avesse la natura dell’impermanenza e del non sé, non potrebbe trasformarsi in una piantina.

Se le nuvole non fossero prive di un sé e impermanenti , non potrebbero trasformarsi in pioggia. Senza natura impermanente e priva di un sé, un bambino non potrebbe diventare un adulto”.

Precisiamo ancora una volta che per Nagarjuna(patriarca della scuola buddhista Mahayana, vedere articolo I), dire che nulla possiede una esistenza intrinseca non significa dire che nulla esiste. Significa semplicemente affermare che nulla possiede una “natura fissa e permanente”.

Per chiarire questo punto, Nagarjuna enuncia due verità:una verità convenzionale e una verità ultima. Così facendo, egli riconosce che è possibile percepire le cose come effettivamente esistenti “là fuori”nel mondo” (la verità convenzionale)così come riconoscere che esse mancano di una esistenza inerente(la verità ultima).

Mantenere queste due posizioni apparentemente contraddittorie è possibile solo a condizione che la “realtà” sia un fenomeno dipendente dalla nostra esperienza, non un fenomeno che possieda una esistenza oggettiva, indipendente dalla nostra esperienza.

L’attribuzione di proprietà intrinseche che esistano di per sé stesse e da sé stesse è quindi una costruzione della nostra mente e deve essere completamente scartata.

Tale falsa attribuzione che è un problema della nostra mente, è la base principale dell’ignoranza di cui parla il Buddhismo, un abito mentale di cui ci si deve liberare per procedere verso il cammino del Dharma, verso la liberazione.

Secondo il Buddismo e l’Induismo l’umanità è prigioniera di una realtà illusoria – il Samsara – tenuta in vita dalla illusione della individualità, cioè dall’illusione di una distinzione fra il Sé e l’Altro, dalle percezioni sensoriali e dai desideri di ogni essere umano. Infatti, se prendiamo in esame la nostra concezione del Sé, troveremo che siamo propensi a credere che esista qualcosa di solido e permanente al nostro interno, separato e isolato, indipendente dagli elementi esterni, sia fisici sia mentali.

La filosofia della vacuità afferma invece che questa visione non è solo un errore madornale ma costituisce anche la base per l’attaccamento, il senso del possesso e lo sviluppo dei nostri innumerevoli pregiudizi.

È interessante notare come il pensiero di Einstein rispecchi quello buddhista:

“un essere umano è parte del tutto, ciò che noi chiamiamo “Universo”, di cui rappresenta una parte limitata in tempo e spazio. Egli esperienza se stesso, i suoi pensieri, i suoi sentimenti, come qualcosa di separato dal resto, una specie di illusione ottica causata dalla coscienza di sé. Questa illusione per noi rappresenta una specie di prigione che ci limita ai nostri desideri personali e all’affetto alle sole persone che ci sono vicine. Il nostro compito deve essere quello di liberarci da questa prigione allargando gli orizzonti della compassione fino ad abbracciare tutte le creature viventi e l’intera natura nella sua bellezza”.

 

2. La vacuità, il pensiero della Fisica Quantistica

a. non realismo locale. Uno dei concetti assolutamente non intuitivi e inspiegabili alla luce dell’esperienza quotidiana è rappresentato dal rifiuto del “realismo locale”, affermato dalle principali interpretazioni della fisica quantistica(fra cui la ”Interpretazione di Copenhagen” della scuola di N. Bohr) e di cui abbiamo già discusso nell’articolo V, a proposito del fenomeno EPR.

Il realismo locale è la combinazione di due principi:

Il principio di “realismo”, secondo cui tutti gli oggetti debbano oggettivamente possedere delle proprietà preesistenti prima che le misurazioni vengano effettuate. (Ad Einstein piaceva dire che la Luna è lassù anche quando nessuno la sta osservando).

Il principio di “località” secondo cui tra due eventi lontani può esistere un rapporto di causa-effetto solo se essi sono connessi da una catena di eventi, che si propaga con una velocità minore o uguale alla velocità della luce nel vuoto, che rappresenta un limite invalicabile.

Per quanto riguarda il principio di località, abbiamo visto come questo principio venga violato dal fenomeno EPR, perché due particelle “entangled” si comportano come se ognuna conoscesse istantaneamente lo stato quantico dell’altra, qualunque sia la distanza che le separi. Questo in accordo con il principio buddista della “interconnessione”.

La violazione del principio di realismo comporta invece che, parlare di una realtà intrinseca di una particella, cioè di una realtà esistente prima dell’osservazione, non ha significato, perché il solo atto di osservazione trasporta la particella in una nuova realtà, che è quella dell’osservatore/particella(vedere qui sotto il “dualismo onda particella”).

Heisenberg, uno dei padri della meccanica quantistica, ha espresso in maniera molto chiara questo concetto: “quello che noi osserviamo, non è la natura in sé, ma la natura esposta al nostro modo di interrogarla”.

 Il rifiuto del realismo locale è dunque perfettamente in accordo con il concetto buddhista di vacuità.

b. Dualismo onda particella.Per spiegare i fenomeni del mondo infinitamente piccolo non è più possibile descrivere le particelle come entità reali dalle proprietà nettamente definite.

Il cosiddetto dualismo onda-particella(descritto a proposito dell’esperimento della doppia finestra, articolo V, par.1.a)significa che una particella può comportarsi come un’onda o come una particella: il fenomeno che chiamiamo particella si comporta come tale quando la osserviamo, quando invece non la stiamo osservando si comporta come un’onda.

Ci troviamo di fronte a due diverse interpretazioni della realtà. Per spiegare il fenomeno occorre talvolta usare una interpretazione, talvolta l’altra e talvolta entrambi.

Ma l’onda, secondo l’interpretazione più accettata(nota come l’interpretazione di Copenhagen) non è un’onda materiale, bensì un’onda di probabilità, che si materializza in una particella non appena la osserviamo o la misuriamo.

Quando parliamo di particelle come atomi e elettroni non possiamo considerarle come entità reali, dotate di precise proprietà, come velocità e posizione, capaci di seguire precise traiettorie. Atomi e particelle sono solamente delle costruzioni logiche con cui noi cerchiamo di mettere insieme i risultati delle nostre osservazioni e misure.

Illuminante a questo proposito il grande fisico N.Bohr:

“Nella nostra descrizione della natura, lo scopo non è scoprire le reale essenza dei fenomeni, ma solamente interpretare, per quanto possibile, le relazioni fra i molteplici aspetti della nostra esperienza”.

Anche questo perfettamente coerente con il concetto buddista di vacuità.

 

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